Smart city, this is how post coronavirus cities will be redesigned

Smart city, this is how post coronavirus cities will be redesigned

Gli spazi urbani diventano più fruibili ed efficienti grazie a progetti realizzati in tutto il mondo

(foto: via Getty Images) “ Se una città è distrutta da un incendio o da un terremoto, probabilmente sarà ricostruita con materiali ignifughi o con criteri antisismici. Così con la pandemia le città devono rinascere su basi diverse “,  scrive il presidente di Enel Michele Crisostomo, presentando la terza edizione dello studio “ Città circolari, città di domani ” pubblicato lo scorso ottobre. Il documento affronta il tema delle smart city sotto vari profili (energetico, urbanistico, amministrativo e sociale) e raccoglie alcuni esempi internazionali di “buone pratiche”, anche alla luce degli insegnamenti ricavati dall’emergenza Covid. “Nell’emergenza – continua Crisostomo – le città sono diventate rete, connessione, servizi, soccorso, solidarietà. L’inquinamento si è manifestato, anche sul piano sanitario, come fattore di rischio. Da nomadi stanziali, col nemico invisibile sulla soglia di casa, abbiamo acquisito maggiore consapevolezza di quanto sia essenziale migliorare la qualità delle nostre città, che tornano ad essere ancora una volta luogo antropologico e fisico per una nuova idea di sviluppo” . Se le nostre città fossero state più intelligenti, più smart come oggi si usa dire, la seconda ondata della pandemia non ci avrebbe ridotti nelle condizioni in cui siamo. Lavoro, mobilità, accessibilità, connessione: tutto sarebbe stato più fluido e controllabile , sicché riorganizzare la nostra vita quotidiana in funzione delle nuove regole anti-contagio sarebbe stato quasi un gioco da ragazzi. Numerosi studi scientifici, poi, hanno dimostrato che gli effetti del coronavirus sono molto più severi in presenza di forte inquinamento atmosferico. E l’inquinamento è proprio il primo dei problemi che ogni progetto di città intelligente punta a risolvere, elettrificando sistematicamente ogni attività energivora, dalla mobilità al condizionamento degli edifici. Questo spiega perché mezzo mondo sia oggi alla ricerca dell’Eldorado smart city, cioè di un modello di città del futuro realistico e realizzabile. Il tema non è nuovo e già decine di colossi multinazionali vi si applicano da anni, sviluppando nuovi prodotti o addirittura progetti “chiavi in mano”. Tra questi Enel, General Electric, Vodafone, Itron, Nokia. È un mercato che già vale quasi 300 miliardi di dollari l’anno, ma che fin qui si è sviluppato principalmente in Asia e negli Stati Uniti , aree in cui era ancora possibile disegnare una città a tavolino. L’ultimo esempio è il progetto  NEOM , in Arabia Saudita, tra il Mar Rosso e il Golfo di Aquaba: una città da un milione di abitanti, in pieno deserto, energeticamente autosufficiente e a emissioni zero. Costruirla costerà 500 miliardi di dollari. Ma la novità attesa per gli anni del dopo coronavirus Ã¨ invece l’applicazione del concetto di smart city ad aree urbane già consolidate, come sono praticamente tutte quelle europee.  Lo prevedono quasi tutti i report sfornati a raffica negli ultimi giorni dalle società internazionali specializzate nelle ricerche di mercato (citiamo tra gli altri “Smart City Report”, “Global Smart Cities Market”, “Smart Cities Solution Market 2026” e via dicendo). Tutti concordano sul fatto che nei prossimi 6-7 anni sarà invece l’Europa a tirare la volata.  Un po’ in risposta allo choc della pandemia, un po’ in seguito all’approvazione del Green Deal Europeo, rafforzato dai finanziamenti del Recovery Fund che darà origine al Next Generation Plan. Insomma, anche il Vecchio Continente si rinnoverà, e prenderà una buona fetta di un mercato globale che dovrebbe salire a oltre 390 miliardi di dollari entro il 2027, con una crescita di quasi il 22% nel periodo. Coinvolgerà  hardware, servizi e software nei settori del trasporto pubblico e privato, della logistica, delle multiutility, dell’energia, dell’istruzione, della sanità, della sicurezza e dell’edilizia. Ma cosa si intende, concretamente, per smart city? Il colosso svizzero svedese ABB ha provato a rappresentarlo in uno strumento interattivo ( https://abbsmartsocieties. com/ ) messo in rete in occasione della Giornata mondiale delle città promossa dall’Onu. Lo strumento riproduce, scomponendoli, gli  elementi tecnici collettivi che possono contribuire alla progettazione di una “città intelligente” globale. Gli edifici residenziali e i siti industriali sono connessi , autoproducono gran parte del loro fabbisogno energetico e rispondono al massimo livello di efficienza energetica. La  mobilità pubblica eelettrica, i veicoli sono prevalentemente condivisi, connessi, e supportati da una capillare rete di ricarica. La gestione energetica Ã¨  sostenibile: si basa su un mix di diverse fonti rinnovabili e una produzione diffusa messa in rete e mantenuta in equilibrio da grandi sistemi di accumulo e stoccaggio di cui sono parte gli stessi veicoli collegati con tecnologia Vehicle to grid (V2G) nei momenti di non utilizzo. La gestione dei rifiuti segue i principi dell’economia circolare. E i data center fungono da cabina di regia di tutto il sistema. È un modello che realizza il sogno di un’urbanizzazione a emissioni zero, più fruibile ed efficiente. Un esercizio teorico? Un semplice concept? Non proprio. Infatti, ABB si è aggiudicata un contratto con la società energetica svedese Mälarenergi per sviluppare “soluzioni di città intelligenti” a VästerÃ¥s, la quinta area urbana più grande della Svezia con 150 mila residenti. Nel 2017, Mälarenergi e ABB hanno formato un team per sviluppare soluzioni digitali che minimizzeranno l’impatto ambientale gestendo, in un ambiente operativo unificato, tutti i diversi sistemi di automazione. La stessa Enel può vantare una decina di realizzazioni in altrettanti paesi. E l’Italia a che punto è? Nessuno si aspetti soluzioni futuribili paragonabili a quelle svedesi. Tuttavia, il rapporto CittàMez di Legambiente e Motus-e registra passi avanti significativi, almeno nella mobilità urbana. Purtroppo, il Covid ha interrotto la crescita nell’utilizzo del trasporto pubblico . Ma l’incremento della mobilità leggera condivisa e una migliore combinazione di modalità green come bici, monopattini, scooter elettrici e sane passeggiate, ha decisamente aumentato la propensione a una mobilità a zero emissioni. A Milano, Napoli, Venezia, Bologna, Torino e Firenze più di un terzo degli spostamenti si compie a piedi, in bici, con mezzi elettrici o condivisi. E se Bolzano domina la classifica per l’indicatore mobilità zero missioni (con un ottimo 60%), Milano, Ferrara, Bologna, Torino, Firenze, e Bergamo eccellono sul fronte delle politiche di decarbonizzazione per il futuro. Milano ha già in annunciato che il trasporto pubblico sarà tutto elettrico per il 2030. Per la stessa data, nel centro di Bologna saranno consentiti gli accessi solo ai mezzi elettrici. Genova addirittura si pone come deadline il 2025 per convertire in elettrico l’intera flotta di autobus pubblici. Il superbonus del 110% sull’efficientamento degli edifici potrebbe innescare un significativo  miglioramento energetico del nostro patrimonio abitativo . I miliardi del Recovery Fund saranno poi destinati per un quarto alle politiche energetiche green; questo potrebbe permetterci di centrare gli obiettivi del Piano integrato per l’energia e il clima che fissa nel 55% la quota di rinnovabili entro il 2030 e prevede la chiusura delle ultime centrali elettriche a carbone entro il 2025.




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